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mercoledì 27 gennaio 2010

Autonomia del processo di cognizione e del relativo processo di esecuzione e Legge Pinto.




La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza del 24 Dicembre 2009 n. 27348, ha recentemente stabilito che, in tema di violazione della ragionevole durata del processo ai sensi della Legge Pinto, il processo della cui ragionevole durata si discute deve essere identificato sulla base delle situazioni soggettive controverse azionate, sulle quali il giudice adito deve decidere.

Orbene, poiché il processo di cognizione e quello di esecuzione devono considerarsi tra loro autonomi (V. anche Cass. 22529/2006), le loro durate non possono sommarsi al fine di ottenere l’equa riparazione ai sensi della Legge n. 89/2001.

Pertanto, è in relazione a ciascuno di essi che va computato il periodo di irragionevole durata, senza la possibilità di sommare i tempi occorrenti per la definizione di entrambi i processi.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), invece, considera in modo unitario i tempi del processo di cognizione che decide la controversia sul diritto alla cd equa riparazione che si svolge dinanzi alla Corte d’Appello e di quello successivo di esecuzione resosi necessario a causa dell’inadempimento della PA obbligata a pagare l’indennizzo, poiché, per il principio dell’effettività, l’esecuzione della sentenza deve essere considerata parte integrante del processo (del cd processo ex Legge Pinto), affinché la lentezza eccessiva del ricorso indennitaria non ne comprometta il carattere adeguato (CEDU, Scordino c/ Italia, 29 marzo 2006, req. 36813/97).

venerdì 8 gennaio 2010

LEGGE PINTO. IPOTESI PARTICOLARI.




1) La Corte di Cassazione a sezioni unite ha stabilito che sussiste il diritto all’equa riparazione, ai sensi della Legge Pinto, anche quando il periodo di maggior durata del processo sia di poco superiore ai tre anni.
Infatti, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della cd Legge Pinto, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (Cass. SS. UU. 1338/2004; Cass. 297/2005).

2) Inoltre, il danno da eccessiva durata del processo deve essere risarcito anche quando la causa sia stata di modico valore.
La indennizzabilità del danno per la eccessiva durata del processo non può essere esclusa dalla esiguità della posta in gioco nel processo presupposto, poiché che l'entità della posta in gioco nel processo, ove si è verificato il mancato rispetto del termine ragionevole, non è suscettibile di impedire il riconoscimento del danno non patrimoniale, dato che l'ansia ed il patema d'animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano normalmente anche nei giudizi in cui sia esigua la posta in gioco, onde tale aspetto può avere un effetto riduttivo dell'entità del risarcimento, ma non può totalmente escludere lo stesso (Cass. SS. UU. 1339/2004; Cass. 297/2005).

3) Il giudice, ai fini dell'accertamento della violazione del termine di ragionevole durata del processo, è tenuto a considerare anche il periodo di durata del procedimento per la correzione dell'errore materiale della sentenza.
L'art. 2 della Legge Pinto dispone infatti che, nell'accertare la violazione, il giudice considera la complessità del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonché quella di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione.
Da tale norma si evince chiaramente che quel che rileva è l'influenza di una determinata attività sulla durata del procedimento, non la sua natura, che potrebbe essere, quindi, anche diversa da quella giurisdizionale e addirittura posta in essere da un soggetto diverso dal giudice.
Pertanto, poiché il procedimento ed il relativo provvedimento di correzione di errore materiale rilevano ai fini della definizione del procedimento giurisdizionale, atteso che detto provvedimento ha pur sempre, nonostante la sua natura sostanzialmente amministrativa, la funzione di rendere aderente la "formula" della sentenza al contenuto effettivo della decisione.
Il procedimento di correzione della sentenza, infatti, non costituisce un nuovo giudizio rispetto a quello in cui la sentenza è stata emessa, ma un mero incidente dello stesso giudizio diretto ad identificare l'effettiva volontà del giudice come già risulta espressa nella sentenza (Cass. n. 3604/1992; Cass. 297/2005).