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martedì 22 febbraio 2011

ORDINANZA DI ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE, OGGETTO DI COMODATO




RELAZIONE SUL TEMA

ORDINANZA DI ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE,  OGGETTO DI COMODATO.



Fattispecie in esame sottesa e oggetto di ordinanza presidenziale ex art.155 cod.civ. è il contratto di comodato di cui all’art.1803 c.c.
Per questo motivo è opportuno iniziare il discorso con l’ordinanza di assegnazione ex art.155 quater c.c. e 6 6° comma legge 898/70 (legge sul divorzio) ed in particolar modo del concetto di casa familiare, atteso che è espressione utilizzata dal legislatore sia nell’art.155 quater c.c. sia nell’art 6 6° comma della legge sul divorzio.
E’ stessa la Corte di cassazione nella sentenza 9 settembre 2002 n.13065 che ci da ausilio nella definizione di tale nozione “ Per la corretta interpretazione dell’art. 155 4 comma c.c. occorre distinguere fra due diverse accezioni dell’espressione casa familiare. La prima delle quali connota materialmente il bene immobile in cui si svolse, per un certo periodo storicamente concluso, la vita coniugale e familiare; La seconda significa,invece, il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, ossia l’ambiente fisico in cui persiste, nonostante la separazione dei coniugi, l’insieme organizzato dei beni che costituisce o ha costituito, anche in senso psicologico, l’habitat domestico che deve continuare e svolgere, preferibilmente e se possibile, la funzione di abitazione del nucleo composto da uno dei genitori separati e dalla prole.
La norma in esame fa riferimento a questa seconda accezione.”

Questa sentenza è di rilevante importanza in quanto non vi è ragione di ricorrere all’assegnazione della casa familiare ex art.155 quater c.c. allorquando , per un qualsiasi motivo, al momento della separazione , la casa familiare non dovesse esistere più nel senso di non avere i connotati descritti nella succitata sentenza.

ABITUALITA’ E STABILITA’ nel godimento dell’immobile sono i criteri base per l’identificazione della casa familiare.
A tal riguardo la Cassazione nella sentenza n. 13736 del 18 settembre 2003 ha affermato che “ il provvedimento di assegnazione della casa familiare non può assolvere alla sua funzione allorquando la stessa abbia cessato di essere tale e la prole si sia già definitivamente sradicata dal luogo in cui la sua vita domestica si svolgeva.”
Ne consegue che può costituire oggetto di assegnazione della casa familiare solo quell’immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza e non la casa di villeggiatura, o altre usate per soggiorni temporanei o legate ad esigenze stagionali per la mancanza dei requisiti di STABILITA’ E ABITUALITA’.

PRESUPPOSTI ASSEGNAZIONE CASA FAMILIARE

Si fa riferimento al precipuo e supremo interesse dei figli.
A questo punto un interrogativo che gli interpreti si sono posti è se la presenza o la convivenza dei figli sia necessaria per ottenere il provvedimento di assegnazione della casa familiare o se il provvedimento di assegnazione possa essere disposto anche in assenza di figli.
Parte minoritaria della dottrina riteneva possibile l’assegnazione della casa al coniuge anche in assenza di figli a tutela del coniuge + debole che non abbia adeguati redditi propri.
La giurisprudenza, a volte accogliendo questo orientamento ha statuito che : “ l’assegnazione della casa familiare in assenza dei figli, può essere utilizzata come strumento in tutto o in parte per realizzare il diritto al mantenimento del coniuge privo di adeguati redditi propri” (Cass. 11 aprile 2000 n.4558)
Ancora “ il godimento della casa familiare può essere assegnato dal giudice della separazione anche al coniuge che non sia affidatario dei figli minori, qualora tale assegnazione trovi una giustificazione in sede di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi medesimi, nel senso che configuri una componente in natura dell’obbligo al mantenimento dell’uno a favore dell’altro.” (Cass. 7 luglio 1997 n.6106 )
Nell’ipotesi “in cui la casa coniugale appartenga in comproprietà ad entrambi i coniugi, manchino i figli minori o non autosufficienti, ed entrambi i coniugi rivendichino il godimento esclusivo della casa coniugale, in presenza di una sostanziale parità di diritti, può essere favorito il solo coniuge che non abbia adeguati redditi propri” (Cass. 28 gennaio 1998 n.822).

La Giurisprudenza prevalente e più recente è orientata nel senso opposto, nel senso di
ammettere l’assegnazione della casa familiare solo in presenza di figli minorenni o maggiorenni conviventi economicamente non autosufficienti indipendentemente che la casa sia dell’uno o dell’altro o sia in comproprietà.
La giurisprudenza dominante, assolutamente maggioritaria, ritiene che” in materia di separazione o divorzio, l’assegnazione della casa familiare è finalizzata all’esclusiva tutela della prole e dell’interesse di questa a permanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta e non può quindi essere disposta per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole.
L’assegnazione della casa familiare è pertanto subordinato all’imprescindibile presupposto dell’affidamento dei figli minori o convivenza con i figli maggiorenni non autosufficienti. ( Trib. Milano 28 aprile 2009 Appello Roma 15 aprile 2009, Trib. Monza 15 ottobre 2009 ecc.)
Diversamente si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario in danno del titolare o contitolare.

Interessante una sentenza del Trib. Salerno 27 ottobre 2009 che ha statuito che “ in difetto di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti conviventi con i coniugi, sia che la casa familiare sia in comproprietà tra i coniugi, sia che appartenga in via esclusiva a un solo coniuge , il giudice non potrà adottare con la sentenza di separazione un provvedimento di assegnazione della casa coniugale, non autorizzandolo neppure l’art.156 c.c. che non prevede tale assegnazione in sostituzione o quale componente dell’assegno di mantenimento, in quanto, in mancanza di una normativa speciale in tema di separazione, la casa familiare in comproprietà è soggetta, infatti alle norme sulla comunione, al cui regime dovrà farsi riferimento per l’uso e la divisione”.
IN ASSENZA DI FIGLI, NON SI POTRA’ PROCEDERE AD ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE CHE APPARTENGA IN PROPRIETA’ COMUNE AI CONIUGI.
Tale domanda sarebbe inammissibile in tale sede, ma potrà trovare regolamentazione in un apposito giudizio di divisione incardinato secondo le regole che regolano la comproprietà.
Per completezza di argomento, si sottolinea la possibilità di procedere all’assegnazione parziale della casa familiare ove ovviamente sia possibile cioè quando la casa sia materialmente divisibile o quando tra i coniugi c’è un elevata conflittualità. (Cass. 26 giugno 2004 n.10102- Cass. 18 giugno 2008 n.16593)

ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE E COMODATO.

Se il proprietario dell’immobile è il genitore non affidatario dei figli, nulla questio
In tale caso il diritto di proprietà del coniuge non affidatario può essere sacrificato.
Il sacrificio del diritto del genitore si giustifica dal vincolo di sangue con i figli, ma se è un terzo ad essere proprietario dell’immobile, allora la questione è un'altra.

Sono contrapposti da una parte l’interesse della comunità familiare alla conservazione dell’ambiente domestico e dall’altra parte l’interesse del proprietario dell’immobile , che è estraneo alle vicende dei coniugi, mosso dall’unico interesse a recuperare l’immobile dato in comodato.
Tenuto conto che il comodato è alla base di tale problematica, risulta essenziale, pure se in sommi capi, riportarsi a quanto è previsto dal codice civile.

Il contratto di comodato è un contratto reale essenzialmente gratuito, che trae la sua ragione d’essere da rapporti di fiducia e condiscendenza.
Il comodato può essere a tempo indeterminato o senza predeterminazione di durata ( cd comodato precario).
Nella fattispecie in esame ci troviamo di fronte ad un contratto di comodato precario – cioè senza determinazione di durata con il quale il comodante ha in qualsiasi momento la facoltà di chiedere la restituzione della res ex art.1810 c.c.

Ai fini del suo perfezionamento, il legislatore non prevede la forma scritta ad substantiam, tantè che la giurisprudenza afferma che tale contratto può essere conclusa verbalmente anche se eccede il novennio.

Abbiamo tratteggiato e “sfiorato” la fattispecie tipica del comodato per evidenziare una totale difformità con la fattispecie della locazione- un negozio giuridico consensuale ad effetti obbligatori da cui nasce un diritto personale di godimento a vantaggio del conduttore, per evidenziare e criticare l’interpretazione analogica operata dagli interpreti per ciò che concerne la successione del coniuge separato e divorziato nel rapporto locatizio con la fattispecie del comodato ( fattispecie normativa del tutto diversa per i suoi tratti costitutivi con la locazione).

Nel nostro ordinamento, essendoci una lacuna legislativa in relazione alla materia in esame, con un interpretazione analogica a quanto il legislatore ha previsto in materia di locazione per ciò che concerne la successione del coniuge separato o divorziato nel contratto di locazione così come previsto dall’art.6 2 e 3 comma legge 27 luglio 1978 n.392, riconoscendo la successione nel rapporto locatizio a vantaggio del coniuge al quale sia stato attribuito dal giudice il diritto di abitare nella casa familiare… quindi non soltanto la sentenza che definisce il processo ma anche l’ordinanza recante i provvedimenti temporanei ed urgenti del presidente ex art 708 3 comma c.p.c. o l’ordinanza resa in sede di reclamo della Corte d’Appello ex art.708 4 comma c.p.c. o ancora la successiva ordinanza con la quale ex art.709 c.p.c. il giudice istruttore modifichi i provvedimenti emessi dal Presidente del tribunale.

GIURISPRUDENZA E SUO SVILUPPO.

Secondo un vecchio orientamento ( Cass. N.929 del 1995) il coniuge assegnatario dell’immobile succeduto all’altro nella titolarità del comodato, subisce gli effetti dell’eventuale recesso del comodante.
Ciò significa che il coniuge assegnatario della casa coniugale è tenuto a restituire l’immobile alla scadenza del termine pattuito o in mancanza di un termine (comodato precario), su semplice richiesta del comodante ( art.1810 c.c).

A questo punto, per tutelare maggiormente il nucleo familiare, si evidenzia il mutamento giurisprudenziale tendente a salvaguardare l’ambiente familiare e domestico ove si svolge l’habitat della famiglia, ponendo in essere delle sentenze che paino piano ha negato l’autonomia del contratto di comodato rispetto al provvedimento di assegnazione della casa familiare.

La durata dell’utilizzazione dell’immobile sarebbe governata dalla disciplina del provvedimento di assegnazione e non quella del rapporto originario di comodato
( Cass. Sent. N.10977 del 1996)

A fronte di qualche isolato orientamento che riteneva di dover necessariamente adeguare la durata di utilizzazione dell’immobile a titolo di comodato precario alla disciplina tipica dell’assegnazione,
è prevalsa la tesi che nega una funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale e postconiugale.

D’altro canto, il terzo comodante, proprietario dell’immobile, non essendo parte del giudizio di separazione o divorzio, non può vedere compresso il suo diritto proprietario in dipendenza del provvedimento di assegnazione della casa familiare;
né tale provvedimento può ampliare il contenuto della posizione del coniuge assegnatario rispetto alla precedente posizione dell’originario coniuge comodatario!!!!

Al fine di individuare il momento di esigibilità dell’obbligo di restituzione del bene oggetto di comodato ex art. 1809 e 1810 c.c. assume rilievo la specifica prospettiva dell’utilizzazione della casa familiare della casa oggetto di comodato.

La concorde volontà delle parti configura un vincolo di destinazione d’uso dell’immobile

oggetto di comodato alle esigenze abitative della famiglia. Quindi esso assume idoneo a
assumere le sembianze di termine implicito della durata del rapporto, la cui scadenza non è determinata, ma strettamente correlata alla finalità indicata!
Fino a quando non è cessato l’uso al quale la cosa era stata destinata, il coniuge assegnatario potrà contrastare il recesso del terzo comodante almeno che non si avvalga del disposto 1809
2 co c.c. qualora dimostri di averne urgente bisogno.

Inoltre, in presenza di comodato di una casa familiare – come nel caso di specie – in cui non è stato stabilito un termine di durata, esso rimane determinato dall’uso cui il bene è destinato. A questo riguardo la Corte di Cassazione ritiene che , nell’ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, ma determina concentrazione, nella persona dell’assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c.” (Corte di Cassazione – Sezioni Unite, sentenza n. 7.9.2004 n° 13603).

In sostanza la Suprema Corte ha rilevato che se l’immobile è stata dato in comodato affinchè fosse destinato ai bisogni del nucleo familiare e, quindi, nell’interesse della prole, il contratto deve rimanere in essere anche in caso di separazione.

Tuttavia ancora una volta, la Suprema Corte con sentenza n.3179/2007depositata il 13 febbraio 2007 contrariamente a quanto affermato in precedenza ha affermato che” Quando un bene immobile concesso in comodato, sia stato destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minori ( o convivente con figli maggiorenni
non autosufficienti senza loro colpa) emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, contrariamente a quanto sostenuto, non modifica né la natura né il contenuto del titolo del godimento dell’immobile.

(Ciò dunque comporta che gli effetti riconducibili al provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, che legittima l’esclusione di uno dei coniugi dall’utilizzazione in atto e consente la concentrazione del godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, restano regolati dalla stessa disciplina già vigente nella fase fisiologica della vita matrimoniale.)
Ne consegue pertanto che ove, come nella specie, si tratti di comodato precario ( senza la predeterminazione di durata)- il comodatario è tenuto a restituire il bene quando il comodante
lo richieda (art.1810 c.c.) e che il diritto di recesso del proprietario è stato legittimamente esercitato.”
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione confermando le precedenti statuizione dei giudici di merito, ha rilevato che qualora una società conceda in comodato gratuito un immobile adibito dal proprio amministratore unico ad alloggio del suo nucleo familiare e quest’ultimo venga assegnato in sede di separazione alla moglie, la società comodante può legittimamente esercitare il diritto di recesso, nei confronti della comodataria, trattandosi di comodato stipulato senza la determinazione di una durata finale.
In effetti, il terzo comodante , proprietario dell’immobile , non essendo parte del giudizio di separazione o di divorzio, non può veder compressi i suoi diritti proprietari in dipendenza del provvedimento di assegnazione della casa familiare.

Trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa coniugale e opponibilità ai terzi
L’art.6 comma 6 della legge 898/1970 (legge sul divorzio), così come modificato dalla legge 74/1987, statuisce che “l’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.”
La Cassazione ha affermato che: “Nel caso di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, ai sensi degli artt. 155, comma quarto, c.c., in tema di separazione personale, e 6, comma sesto, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), in tema di divorzio, il relativo provvedimento - in quanto avente per definizione data certa, sia esso la sentenza che definisce il giudizio di separazione o di divorzio, sia il provvedimento provvisorio pronunziato dal Presidente del tribunale ai sensi degli artt. 708 c.p.c. e 4, ottavo comma, della legge n. 898 del 1970 e successive modifiche - è opponibile al terzo acquirente del bene in epoca successiva al provvedimento medesimo, nel termine di nove anni, ed anche oltre se il provvedimento sia stato trascritto” (Cass. civ., sez. I, 3 marzo 2006, n. 4719; conforme Cass. civ., sez. un., 26 luglio 2002, n. 11096).
La Cassazione ha in pratica applicato alla materia dell’assegnazione della casa coniugale l’art. 2643 n° 8 Cod. Civ. dettata per i contratti di locazione, operando anche in materia di trascrizione un interpretazione analogica.
Attualmente l’art. 155 quater introdotto al Codice Civile dalla L. n. 54/06 prevede che “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643 cod..civ.”; e come sappiamo questa disposizione si applica anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati grazie al comma 2 dell’art. 4 della legge 2006/54.
Occorre però precisare che secondo la Cassazione “atto trascrivibile” sarebbe non il ricorso per separazione, ma soltanto il provvedimento di assegnazione della casa familiare (Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2006, n. 13137).
Il principio è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale che in relazione ad un dubbio di costituzionalità in materia sollevato dal Tribunale di Alessandria con decisione 24/02/2006 n. 448, che aveva osservato che nelle more tra la notifica del ricorso e l’udienza presidenziale, il titolare della casa coniugale avrebbe potuto liberamente disporne, ha negato l’ammissibilità al ricorso medesimo, seppur per ragioni procedurali, non avendo dedotto il giudice a quo se nel caso di specie la casa coniugale fosse stata o meno assegnata (Corte Cost. dec. 27 aprile 2007 n. 142).
Per superare l’impasse qualche autore ha ipotizzato che si possa trascrivere il ricorso in base all’art. 2652 n° 2 Cod. Civ., che consente la trascrizione delle domande dirette a ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre, ovvero, secondo altri, si potrebbe superare l’ostacolo riportandone il contenuto davanti ad un notaio che potrebbe così trascriverlo ai sensi dell’art. 2657 (“La trascrizione non si può eseguire (2674) se non in forza di sentenza (2908; 131 ss. c.p.c.), di atto pubblico (2699) o di scrittura privata (2703) con sottoscrizione autenticata (2703) o accertata giudizialmente “).
Dunque il provvedimento di assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi all'esito del procedimento di separazione personale come abbiamo visto non è idoneo a costituire un diritto reale di uso o di abitazione a favore dell'assegnatario, ma solo un diritto di natura personale, opponibile, se avente data certa (e nel nostro caso la data è certa), ai terzi entro il novennio ai sensi dell'art. 1599 c.c. (“Le locazioni di beni immobili non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente, se non nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione”). ovvero anche dopo i nove anni se il titolo sia stato in precedenza trascritto.
Brevissima considerazione conclusiva (personale):
Risulta fortemente criticabile l’interpretazione analogica così come operata dagli interpreti che collegano analogicamente tout court la materia del comodato precario con quella della locazione, al fine di attribuire al provvedimento di assegnazione della casa familiare una valenza e una pregnanza di effetti superiore alla sua natura e in netto contrasto con i principi e le norme codicistiche.
Per quanto già detto in precedenza, la struttura e gli elementi costitutivi del comodato sono diversi e del tutto opposti a quello della locazione, per cui risulta a mio modesto avviso improponibile un interpretazione analogica su due fattispecie normative del tutto opposte.
Sarebbe invece auspicabile un deciso e chiaro intervento del legislatore che colmi la succitata lacuna legis, per evitare di “ confezionare un vestito troppo stretto per un soggetto di taglia forte”.


Avv. Massimiliano De Leo

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