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martedì 25 ottobre 2011

SENTENZA DEL TRIBUNALE DI PRATO N. 144/08




IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI PRATO

Il Giudice in composizione monocratica

nella persona della Dott.ssa Roberta Nocella

lette le conclusioni delle parti ed udita la discussione orale, visto l’art. 281 sexies cpc, dà lettura della seguente

SENTENZA

da considerarsi parte integrante del presente verbale,
nella causa tra

***********, rappresentato e difeso dall’avv. Gennaro De Natale del foro di Salerno, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Salerno, via Trento n. 55, come da procura a margine dell’atto di citazione        
                                                              
attore opponente

E

CONSUM.IT spa, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. ************* del foro di Salerno ed elettivamente domiciliata presso lo studio legale ********* sito in via ************** come da procura notarile allegata

convenuta opposta.

L’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla parte attrice opponente è fondata.

Ed invero, secondo l’art. 33, co. 2 lett. u) del d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (nel quale è stato trasfuso il previdente art. 1469 bis, co. 3, n. 19 cc), si presume vessatoria fino a prova contraria la clausola che abbia per oggetto o per effetto di “stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diverse da quella di residenza o di domicilio elettivo del consumatore”.

Ora, nel caso in esame sono dati incontestati quello della qualità di consumatore in capo al ********* -  la stessa Consum.it nella sua comparsa di costituzione afferma di operare da tempo nel settore del credito al consumo – nonché la sua residenza o domicilio a Salerno, come risulta dallo stesso contratto di finanziamento prodotto da entrambe le parti (all. 3 fas. attr. e all. 2 fasc. conv.), con conseguente applicabilità del cd foro del consumatore. Non risultano, invece, stipulate clausole contrattuali derogative della competenza stabilita ex lege nelle cause in cui sia parte un consumatore: ed invero, leggendo il frontespizio del contratto, nelle parti scritte in piccolo si fa riferimento alle “clausole generali riportate sul retro del presente contratto”; tuttavia nessuna delle parti ha prodotto agli atti tale pagina di retro, al fine di verificare l’esistenza o meno di una deroga al foro del consumatore. Tuttavia, nella propria comparsa di costituzione il convenuto nulla ha eccepito al riguardo, essendosi solo appellato ai criteri facoltativi previsti dall’art. 20 cpc. Tale richiamo, però, non può essere accolto: infatti, secondo Cassazione civile, sez. un. 1 ottobre 2003, n. 14669, “L’art. 1469 bis cc, nel prevedere che si presumono vessatorie, fino a prova contraria, le clausole che, nei contratti stipulati tra professionista e consumatore hanno l’effetto di individuare il giudice competente a decidere sulla controversia contrattuale in un ufficio giudiziario diverso da quello del luogo di residenza del consumatore, ha introdotto nel nostro ordinamento una ipotesi ulteriore di competenza esclusiva, ancorché derogabile”; inoltre “La disposizione dettata dall’art. 1469 bis comma 3 n. 19 cc si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendo vessatoria la clausola che prevede una diversa località come sede del foro competente, ancorché coincidente con uno di quelli individuabili sulla base del funzionamento dei vari criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile per le controversie nascenti dal  contratto”. Che si tratti di foro esclusivo (oltre che inderogabile) è stato di recente affermato da Cassazione civile, ord., sez. III, 13 giugno 2006, n. 13642.

Pertanto, questo giudice deve dichiararsi incompetente in favore del Tribunale di Salerno.

Trattandosi di opposizione a decreto ingiuntivo, deve richiamarsi la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui “La sentenza con cui in sede di opposizione a decreto ingiuntivo si dichiari l’incompetenza territoriale del giudice che ha emesso il decreto non comporta la declinatoria della competenza funzionale a decidere sull’opposizione, ma contiene, anche se implicitamente, la declaratoria di invalidità del decreto ingiuntivo, in quanto tale declaratoria è conseguenza necessaria e inscindibile della pronuncia di incompetenza del giudice che lo ha emesso…” (Cassazione civile, sez. III, 11 luglio 2006, n. 15694, conforme a Cassazione civile, sez. II, 22 giugno 2005, n. 1353). In altre parole, la pronuncia di incompetenza emessa dal giudice dell’opposizione ricade necessariamente anche sul decreto ingiuntivo, emesso anch’esso da un giudice incompetente e, pertanto, nullo. E’ tale, dunque, il decreto ingiuntivo n. 1208/07 depositato dal Tribunale di Prato in data 30.01.2007 ed emesso in favore di Consum.it nei confronti di ***********.

Nonostante l’adesione dell’opposta all’eccezione di incompetenza in questione, essendo state dall’opponente richieste le spese del presente giudizio, ha dovuto procedere con emissione di sentenza.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo; ritiene questo giudice che non sussistono gli estremi per la condanna ai sensi dell’art. 96cpc, non essendo stati dimostrati gli estremi dei presupposti della mala fede o colpa grave in capo alla Consum.it.

P.Q.M.

Il Tribunale di Prato, nella persona del Giudice in composizione monocratica, dott.ssa Roberta Nocella, in accoglimento della eccezione sollevata dall’opponente *********** nella causa promossa nei confronti di Consum.it, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, dichiara la propria incompetenza per territorio e, per l’effetto, la nullità del decreto ingiuntivo n. 1280/07 depositato dal Tribunale di Prato in data 30.01.2007; rigetta la domanda, proposta dall’opponente nei confronti dell’opposta, di condanna di quest’ultima al risarcimento ai sensi dell’art. 96 cpc; condanna la società opposta al pagamento, in favore dell’opponente, delle spese di lite, liquidate in complessivi € 2.141, 83, di cui 1.476,66 per diritti e 600,00 per onorari ed euro 65,17 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CAP.

Così deciso in Prato, il 31/01/08

Il Giudice
dott.ssa Roberta Nocella


venerdì 21 ottobre 2011

SENTENZA DEL GIUDICE DI PACE DI SALERNO - SERVIZI TELEFONICI NON RICHIESTI - WIND




UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI SALERNO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Pace Dott. Antonio Tarasco

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile promossa da:

*************

rappresentata e difesa dall’avv. Gennaro De Natale

presso il cui studio elettiv. domic. in Salerno via Ogliara, 36                 attrice

CONTRO

Wind Telecomunicazioni spa, in persona del legale rappresentante
rappresentata e difesa dall’Avv. **********  elettiv. domic. in Salerno via c/o studio avv.  convenuta

OGGETTO: Risarcimento danni.

All’udienza dell’11/5/2011 le parti hanno concluso come da verbale in atti.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il giorno 20/11/10 ********* premesso:

di essere titolare di contratto di utenza telefonica mobile n. 089/******* con la Telecom Italia spa;

che nel mese di febbraio 2010 la Wind Telecomunicazioni spa, senza averne ricevuto richiesta, aveva attivato i propri servizi di linea telefonica, disattivando contestualmente quelli della Telecom;

che era stata costretta, tramite un legale di fiducia, stante la sua avanzata età, a mettere in essere la procedura per la riattivazione della linea telefonica con la Telecom, a denunciare il caso agli organi competenti (AGCM, AGCOM, ecc.), ad esperire il tentativo di conciliazione presso la Camera di Commercio, il tutto sostenendo le relative spese;

tutto quanto innanzi premesso,

conveniva in giudizio, avanti questo Giudice di Pace, la Wind Telecomunicazioni spa per ivi sentirla condannare al risarcimento dei danni materiali, consistenti nelle spese di cui innanzi pari ad € 148,70, e morali, da quantificarsi equitativamente in euro 500,00, e con ristoro delle spese del giudizio, il tutto, comunque, entro i limiti di competenza del Giudice adito.

All’udienza di comparizione si costituiva la convenuta Wind Telecomunicazioni SpA,  la quale preliminarmente eccepiva la improcedibilità della domanda ai sensi dell’art. 4 D. Lgs. 28/10, nonché l’incompetenza per valore del giudice adito, nel merito l’infondatezza della domanda, della quale chiedeva il rigetto.

Parte attrice, impugnando l’avverso dedotto, si riportava alla domanda chiedendone l’accoglimento. Il Giudice, ritenuta la causa non bisognevole di istruttoria, la rinviava per la precisazione delle conclusioni e discussione all’udienza dell’11/5/2011, nella quale, raccolte le conclusioni delle parti, la tratteneva per la decisione.

Motivi della decisione

Non si ritengono fondate le eccezioni preliminari sollevate da parte convenuta, giacché nel mandato rilasciato al proprio procuratore a margine dell’atto di citazione, l’attrice ha espressamente dichiarato e sottoscritto di essere stata informata della possibilità di ricorrere al procedimento di conciliazione previsto dall’art. 4 D. Lgs. 28/10, ha ritualmente, ma con esito negativo, esperito il tentativo di conciliazione avanti la Camera di Commercio, e, per quanto riguarda la competenza, il valore della causa è chiaramente indicato in € 148,70 + 500,00, con espressa clausola di contenimento entro € 1.032,00.

Nel merito, la domanda è fondata.

La convenuta Wind Telecomunicazioni ha contestato la domanda attorea, secondo la quale avrebbe arbitrariamente e senza consenso dell’interessata, attivato propri servizi telefonici, sostituendosi a quelli della Telecom, affermando che il contratto di telefonia fu concluso con la ************, interpellata in proposito da un agente della Iasmos, società che svolge attività di telemarketing per conto di essa Wind, dopo averne raccolto la “firma vocale”, come provato dalla schermata siebel esibita agli atti.

Ha anche prodotto, la Wind, copia della “proposta di contratto” non sottoscritta, però, dalle parti.

Si deve osservare in proposito, che nella specie non vi è dubbio che trattasi di tipico “contratto a distanza” disciplinato dal cd “codice del consumatore” che prevede che la proposta orale sia seguita da un documento informativo al quale deve seguire una espressa accettazione del contraente.

Nel caso in esame, non è provato che la proposta di contratto esibita sia stata portata a conoscenza della ********** e, soprattutto, che costei abbia manifestato la propria accettazione, anzi, allorché si è resa conto, ricevendo le bollette, del cambio di gestore telefonico, si è affrettata a chiedere la disattivazione del servizio telefonico con la Wind e la riattivazione con la Telecom.

Peraltro la Wind esaudì la richiesta, e con telegramma del 12/7/2010 comunicò alla ********** di avere (testuale) “avviato il processo di disattivazione della sua utenza ed il ripristino del servizio con il suo precedente operatore”, precisando che  “Le eventuali spese di riallaccio le saranno rimborsate per intero”.

Tale ultimo impegno non è stato mantenuto.

La *********, infatti, si è vista addebitare sulla bolletta Telecom n. 5/10 la somma di € 80,00 + IVA a titolo di “contributo attivazione linea telefonica”.

Al pagamento in suo favore di tale somma, più le spese sostenute per la domanda di conciliazione avanti la CCIAA, chiede la condanna della Wind la ***********, la quale non ha riproposto nella comparsa conclusionale anche la richiesta di condanna ad inesistente danno esistenziale.

Il telegramma 12/7/2010 inviato alla ******* dalla Wind e non contestato dalla stessa, può considerarsi una vera e propria ricognizione di debito per cui, in accoglimento della domanda, la convenuta va condannata al pagamento in favore dell’attrice della somma complessiva di € 148,70, per la causale in motivazione.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Giudice di Pace,

definitivamente pronunciando in ordine alla domanda avanzata da ******** nei confronti della SpA Wind Telecomunicazioni, in persona del legale rappresentante, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

accoglie la domanda, e per l’effetto condanna la Wind Telecomunicazioni al pagamento in favore di ********************** della somma complessiva di € 148,70;

condanna la soccombente alla rifusione delle spese, diritti ed onorari del giudizio, liquidati complessivamente in € 450,00, più 12,50%, IVA e CPA, attribuendoli al procuratore dell’attrice dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Salerno, il 23/5/2011.

Il Giudice di Pace

dott. Antonio Tarasco

martedì 18 ottobre 2011

SENTENZA DEL GIUDICE DI PACE DI SALERNO - DISTACCO CONTATORE ENEL




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL GIUDICE DI PACE DI SALERNO

in persona dell’Avv. M. Cinzia Sarno, ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 4987/09 RG, promossa da ************** rapp.to e difeso giusta mandato a margine dell’atto introduttivo dall’Avv. G. De Natale ed elett.te dom.to in Salerno presso il suo studio, attore

contro

Enel Servizio Elettrico spa in persona del legale rapp.te pt, rapp.to e difeso dall’avv. *********** ed elett.te dom.to in Salerno presso il suo studio, convenuto.

Oggetto: restituzione somme.

Conclusioni: come in atti.

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE.

Con atto di citazione regolarmente notificato, l’istante conveniva in giudizio innanzi a questo giudice, l’indicata società Enel, onde sentirla condannare alla restituzione della somma di € 55,10, dallo stesso sostenuta quale onere per distacco del contatore e successivo ripristino, a seguito del mancato pagamento della fattura del 16/06/2006, e dunque per lo stato di morosità. 

Deduceva altresì l’istante di non aver mai ricevuto la fattura e la bolletta del 16/6/2006, né il preavviso di distacco per morosità, a seguito del mancato pagamento della suddetta. Instaurato regolarmente il contraddittorio, si costituiva la convenuta società, la quale contestando la fondatezza della domanda, eccepiva l’avvenuto invio di lettera di preavviso e conseguentemente la legittimità dell’operato, traente la sua giustificazione dall’art. 1460 cc, concludendo quindi per il rigetto della domanda. 

Ritenuta la causa matura per la decisione, anche in assenza di istruttoria, poiché documentalmente provata, la stessa veniva riservata a sentenza, previa precisazione delle conclusioni all’udienza del 1/2/2011.

Nel merito, secondo la prospettazione giuridica e di fatto della domanda, ai fini dell’accoglimento della richiesta, come operata da parte attrice, si impone preliminarmente la necessità di valutare la sussistenza della illecita condotta, da parte della Enel Distribuzione SpA per aver provveduto al distacco della somministrazione di energia elettrica per mancato pagamento della fattura del 16/6/2006 e conseguentemente per aver richiesto i costi del distacco contatore e del suo riallaccio. 

Orbene, l’art. 1565 cc testualmente prevede, con una formulazione icastica, che la sospensione della somministrazione può essere disposta solo quando l’inadempimento dell’utente sia di grave entità. 

Invero allorquando l’inadempimento sia di lieve entità, come nel caso di specie, considerato che trattasi del mancato pagamento della modesta somma di € 89,48, concernente un solo bimestre di morosità, tra l’altro imputabile a fatto del terzo, stante l’inerzia del servizio postale che non ha provveduto all’inoltro della fattura, il somministrante non può sospendere l’esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso con lettera raccomandata. 

Nella fattispecie risulta pacifico, poiché provato documentalmente, che il Sig. *********** abbia subito la riduzione di potenza ed il distacco del contatore in maniera improvvisa e repentina senza alcun regolare preavviso da parte della società, risultando sempre in forma pacifica e per tabulas, che la raccomandata concernente il preavviso di riduzione di potenza, non risulta consegnata dall’agenzia postale di Salerno, bensì restituita all’Azienda, dopo circa un mese e mezzo e solo quando era stata già effettuata la detta riduzione (cfr. lettera inviata dall’Enel al Sig. ******** in data 19/12/2006). 

A tale proposito soccorre la regolamentazione di detto rapporto, ai sensi della delibera n. 200/1999, dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, allorquando all’art. 8 comma 8.2, espressamente stabilisce che … l’esercente non può sospendere la fornitura al cliente in assenza della comunicazione scritta di cui al comma precedente, … mentre al comma 8.1 stabilisce che … l’esercente in caso di mora del cliente invia a quest’ultimo una comunicazione scritta a mezzo di raccomandata indicante il termine ultimo entro cui provvedere all’adempimento … .


Considerato che nella specie, non risulta provata l’avvenuta recezione della lettera raccomandata in questione, poiché restituita al mittente, è agevole accertare che nell’ipotesi concreta mancavano certamente i presupposti legittimanti l’avvenuta sospensione della fornitura. 

Non può dunque essere revocato in dubbio il comportamento arbitrario ed illegittimo tenuto dalla società fornitrice del gas, che ha distaccato il contatore senza alcun preventivo avviso in tal senso. 

Ne deriva, conseguenzialmente, che sono certamente ripetibili le somme erogate dall’istante e richieste a titolo di onere per il distacco del contatore, riallaccio e spese postali, poiché indebitamente pretese, non avendo parte istante, né ricevuto la lettera di preavviso di diminuzione di potenza, né potendo essere allo stesso addebitabile la mancata ricezione della fattura che ha dato origine alla morosità, non ritenendosi il consumatore di poter essere gravato dalle inefficienze del servizio di consegna commissionato dalla Società Enel alle Poste Italiane. 

Per quanto motivato, la domanda come prospettata trova dunque accoglimento, e pertanto la convenuta società Enel Distribuzione va condannata alla restituzione della somma di € 55,10 in favore dell’istante, oltre interessi legali dalla data del pagamento (22/12/2006) al soddisfo. 

La regolamentazione delle spese processuali segue il principio della domanda e quello, derivato, della soccombenza, di tal che le stesse vanno poste a carico del convenuto e liquidate nella misura come da dispositivo.

P.Q.M.

il Giudice di Pace, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta dal Sig. ***********, nei confronti di Enel Servizio Elettrico spa in persona del legale rapp.te, ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa e reietta, così provvede:

1) Accoglie la domanda poiché fondata e provata, come da motivazione e per l’effetto condanna essa società Enel Servizio Elettrico spa in persona del legale rapp.te pt alla restituzione e dunque al pagamento in favore dell’attore della somma di € 55,10 oltre interessi legali dal 22/12/2006 al soddisfo.

2) Liquida le spese processuali complessivamente in € 450,00 di cui € 30,00 per spese ed € 420,00 per diritti ed onorari, oltre IVA e CNA e rimborso forfetario come per legge in favore dell’attore, con attribuzione al procuratore antistatario.

Salerno, lì 2/5/2011
Il G.d.P.
Avv. M. Cinzia Sarno

lunedì 17 ottobre 2011

CORTE D'APPELLO DI NAPOLI - EQUA RIPARAZIONE - DECRETO N. 7102/2008 V.G.




LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI

III SEZIONE CIVILE

riunita in camera di consiglio nelle persone dei magistrati:

dott. Francesco Saverio Azzariti Fumaroli                               Presidente
dott. Edoardo Vitale                                                               Consigliere rel.
dott. Giancarlo Di Ruggiero                                                     Consigliere
ha emesso il seguente

DECRETO

nel procedimento camerale iscritto al n. 7102/2008 V.G. avente ad oggetto: equa riparazione ex lege n. 89/01, vertente

FRA

*************** nata a ***************, rappresentata e difesa dall’avv. Gennaro De Natale come da procura a margine del ricorso introduttivo e presso di lui elettivamente domiciliata in Salerno, alla via Ogliara n. 36

RICORRENTE

E

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore

RESISTENTE

FATTO

Con ricorso depositato il 3 dicembre 2008 la ricorrente ha esposto di avere citato il Comune di Salerno dinanzi al Tribunale della Stessa città con atto notificato il 23 febbraio 1999, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti a causa di un sinistro stradale occorso il 7 novembre 1998; che dopo la costituzione dell’Ente, il giudizio era stato rinviato più volte; che era stato dunque superato il termine di ragionevole durata del processo.

Dopo avere enunciato i principi in materia di ragionevole durata del processo e di equa riparazione, la parte ricorrente ha concluso perché la Corte voglia condannare il Ministero della Giustizia al risarcimento integrale dei danni nella misura di euro 25.000,00, o in quella diversa ritenuta rispondente a giustizia, nonché al pagamento delle spese processuali, da attribuire al procuratore antistatario.

Nonostante la regolare notifica, in data 14 maggio 2009, del ricorso introduttivo e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti in camera di consiglio, l’Amministrazione della Giustizia non si è costituita.

All’udienza camerale del 24 settembre 2009 la Corte si è riservata di provvedere.

DIRITTO

Dichiarata innanzitutto la contumacia del Ministero della Giustizia, ritualmente citato e non comparso, la Corte rileva quanto segue.
            A scioglimento della riserva, si osserva  che il Giudice adito per il risarcimento dei danni, a norma della legge 89/2001, deve verificare quanta parte della durata del processo sia da ascrivere a responsabilità dell’amministrazione della giustizia nel suo complesso (Giudice ed altra autorità chiamata a contribuire alla sua definizione) e quanta alla condotta delle parti (art. 2 comma 2 legge n. 89/2001). 

In tema di valutazione relativa alla durata non ragionevole del processo, il Giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 89, una volta individuato l’intero arco temporale del processo, deve operare una selezione tra i segmenti temporali attribuibili alle parti e quelli riferibili all’operato del giudice, sottraendo i primi alla durata complessiva del procedimento; ciò che risulta da tale sottrazione costituisce il tempo complessivo imputabile al giudice, inteso come “apparato giustizia” (ossia come complesso organizzato di uomini, mezzi e procedure necessari all’espletamento del servizio), in relazione al quale deve essere emesso il giudizio inerente alla ragionevolezza o meno della durata del processo, senza che sia tuttavia possibile considerare tutto il tempo riferibile all’apparato giudiziario come tempo eccedente la durata ragionevole, atteso che ogni processo, anche il più celere, ha una durata fisiologica collegata allo svolgimento delle varie fasi, delle attività che vi si compiono e degli eventuali diversi gradi di giudizio in cui esso si è articolato, sicché è necessario verificare di volta in volta se le singole attività che sono state in esso compiute siano o no tali da giustificarne la concreta durata, non ravvisandosi, né sul piano normativo, né nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo una regola di identificazione quantitativa certa e predefinita di durata media, oltre la quale la durata debba considerarsi sempre irragionevole (Cass. n. 1921 del 3 febbraio 2004).

            Su tale premessa, va certamente ascritta al sistema giudiziario nel suo complesso la concessione di rinvii con intervalli concreti anche cospicui; il tempo decorso per rinvii d’ufficio e per gli aggiornamenti dell’udienza connessi allo svolgimento di attività istruttorie; le pause dovute ad adempimenti referendari ed elettorali; gli intervalli per scoperture dell’organico del personale negli uffici; i periodi di ferie.

            Vanno, al contrario, scomputati, a titolo esemplificativo, gli intervalli corrispondenti a rinvii richiesti per astensione della classe forense, oppure a rinvii disposti, senza adeguata giustificazione nelle esigenze della difesa, su istanza di parte, il tempo trascorso tra il deposito di una sentenza e la proposizione del gravame, quello di sospensione o interruzione del processo, nonché lo stesso periodo costituente il termine ragionevole di durata del procedimento, come prevede l’art. 2, comma 3, lettera a), legge 89/2001.

            Orbene, premesso che questa Corte ritiene di aderire all’orientamento della Cassazione secondo cui, sulla falsariga della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, va determinato in tre anni il termine medio di durata ragionevole del processo, con riferimento al primo grado di merito (cfr. Cass. civ. 26 aprile 2005 n. 8585), occorre, nel caso in esame, considerare quanto segue.

            E’ documentato: che il giudizio civile menzionato in narrativa, instaurato da **************** con atto notificato il 30 aprile 1999 dinanzi al Tribunale di Salerno, era pendente alla data di proposizione della domanda di riparazione (3 dicembre 2008). Infatti la causa risulta rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza dell’11 novembre 2009.

            Tenuto conto, da un lato, dei parametri che è possibile ricavare dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e, dall’altro, che nel caso in esame la durata ragionevole del processo può essere fissata in anni tre, deve registrarsi un ritardo di (9 anni, 7 mesi e 3 giorni meno 3 anni =) 6 anni, 7 mesi e 3 giorni rispetto al termine di durata ragionevole.

            Occorre tuttavia tener conto che da tale arco di tempo vanno espunti i seguenti periodi, non imputabili all’amministrazione della Giustizia:

            - 5 novembre 2001 / 25 febbraio 2002 (3 mesi e 20 giorni), dovuto a rinvio chiesto dal procuratore del Comune in considerazione dell’assenza del procuratore dell’attrice;

            - 25 febbraio 2002 / 26 giugno 2002 (4 mesi e 1 giorno), dovuto a rinvio ex art. 309 cpc;

            - 8 ottobre 2008 / 3 dicembre 2008 (1 mese e 25 giorni), dovuto a rinvio ex art. 309 cpc (al 13 gennaio 2009).

            Complessivamente, 9 mesi e 16 giorni, che riducono a 5 anni, 9 mesi e 17 giorni il ritardo da considerare ai fini dell’equa riparazione.

            Giova a questo punto precisare, in ordine all’esistenza del danno da durata irragionevole, che la sofferenza di un pregiudizio non patrimoniale per la lungaggine del processo, avendo natura meramente psicologica, non è suscettibile di ricevere un’obiettiva dimostrazione, onde l’interprete deve prendere atto che esso si verifica nella normalità dei casi secondo l’id quod plerumque accidit.

Ciò comporta che, una volta accertata e determinata la sussistenza della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della legge n. 89/01, il Giudice deve, in via ordinaria, ritenere sussistente il danno non patrimoniale. E, poiché nel caso di specie non sono state in nessun modo addotte, né acquisite circostanze intese a smentire la precisata consequenzialità, tale danno va riconosciuto e liquidato (cfr., per tutte, Cass. civ. sez. un. n. 1338/04 e, più di recente, Cass. civ. n. 28863/05).

            Tanto premesso, ai fini della determinazione del quantum debeatur, questa Corte, uniformandosi al parametro quantitativo offerto dal Supremo Collegio (cfr. Cass. civ. 23 aprile 2005 n. 8568), avuto riguardo a tutti gli elementi di valutazione emergenti dalle connotazioni, oggettive e soggettive, proprie del caso in esame, ed alla stregua dei rilievi svolti e della documentazione in atti, stima equo determinare la considerata riparazione in ragione di euro 5.796,00, somma espressa in termini monetari attuali.

            In considerazione dell’esito e delle peculiarità della controversia, appare rispondente ad equità compensare fra le parti ½ delle spese processuali sostenute dalla parte ricorrente, liquidate come in dispositivo, ponendone a carico dell’Ente convenuto, attesa la sua soccombenza, la residua metà, con attribuzione ai procuratori antistatari.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Napoli così provvede:

1) dichiara nei sensi specificati in motivazione la violazione dell’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e, per l’effetto, il diritto di *********** a un’equa riparazione;

2) condanna il Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore, al pagamento, in favore della medesima ************, della somma di euro 5.976,00 oltre agli interessi al tasso legale dalla pubblicazione del presente decreto al saldo;

3) condanna altresì il predetto Ministero alla rifusione della metà delle spese di lite, che liquida, per l’intero, in euro 40,00 per spese, euro 140,00 per diritti ed euro 200,00 per onorari, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali come per legge, con attribuzione al procuratore antistatario avv. Gennaro De Natale;

4) compensa fra le parti la residua metà di dette spese.

Napoli, 8 ottobre 2009


sabato 15 ottobre 2011

CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA DA PARTE DEI CONDOMINI




In base alle norme di cui agli artt. 1130 e seguenti del codice civile, l’amministratore del condominio deve convocare l’assemblea ordinaria annuale,  e può convocare l’assemblea straordinaria quando lo ritenga opportuno per far fronte ad esigenze particolari o improvvise.

L’assemblea straordinaria, inoltre, deve essere convocata, ai sensi dell’art. 1131 cc, quando vengano notificate all’amministratore citazioni o provvedimenti dell’autorità amministrativa che esorbitino dalle sue attribuzioni.

Tuttavia, il potere di convocare l’assemblea può spettare anche ai condomini: infatti, possono verificarsi, e nella pratica si verificano di frequente, casi in cui l’amministratore sia latitante o poco diligente; ebbene, in tutti i casi in cui il comportamento dell’amministratore potrebbe paralizzare la vita condominiale, la legge ha previsto (art. 66 disposizioni di attuazione al codice civile) che l’assemblea straordinaria possa anche essere convocata dai condomini.

Per la precisione, la richiesta deve essere fatta da un minimo di due condomini che rappresentino almeno un sesto del valore dell’edificio, ossia 166,66 millesimi. 

Se l’amministratore non convoca l’assemblea entro dieci giorni dal ricevimento della richiesta, i condomini possono convocarla direttamente, sostituendosi così all’amministratore.

Naturalmente, le eventuali spese (postali, fitto locale, ecc.) occorrenti per l’assemblea convocata dai condomini devono essere poste a carico di tutti i condomini, e non soltanto a carico dei promotori.

Il modello di lettera da inviare all’amministratore nel caso suddetto potrebbe essere il seguente:



Egr. Sig.
Amministratore (nome e cognome)
Indirizzo
Raccomandata ar

Oggetto: Condominio ___________ Via ______________  - Salerno

Convocazione assemblea ex art. 66 disp. att. Cod. civ.


I sottoscritti Sigg.ri ________________________, proprietari di appartamenti (o box, o locale terraneo) nel condominio da Lei amministrato, _______________ sito in Salerno alla via __________________, rappresentanti n. _____ millesimi del valore dell’edificio,

c h i e d o n o

ai sensi dell’art. 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile, di convocare urgentemente l’assemblea straordinaria del condominio per discutere il seguente

ordine del giorno

1) ____________
2) ____________
3) ____________

Con avvertenza che, in mancanza, si provvederà direttamente alla convocazione dell’assemblea, così come previsto dalla legge.

Cordiali saluti

Firme 

EQUA RIPARAZIONE E CONDOMINIO




L’art. 2 della Legge n. 89/2001 (Legge Pinto) stabilisce che Chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione.


La eccessiva genericità del testo legislativo ha fatto sorgere problemi interpretativi, risolti dalla giurisprudenza, in relazione a situazioni particolari, come ad es., le società ed i condomini.


Per quanto riguarda le persone giuridiche, la Corte di Cassazione ha stabilito che il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, non diversamente da quanto avviene per le persone fisiche, si pone quale conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione CEDU, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri (Cass. 3396/2005; Cass. 13504/2004; Cass. 13163/2004; Cass. 15093/2004).


Pertanto, il ricorso per equa riparazione (cd Legge Pinto) può essere proposto, mediante gli amministratori, anche dalle società.


Il condominio, invece, è unicamente un ente di gestione, privo di personalità giuridica, distinto dai singoli condomini, che agisce, tramite l’amministratore, per la tutela ed amministrazione delle sole cose comuni.


Orbene, poiché l’equa riparazione per irragionevole durata del processo riguarda unicamente la sfera privata del singolo individuo, il relativo ricorso non può essere proposto dall’amministratore del condominio.


Quest’ultimo, infatti, può  agire in giudizio esclusivamente per la tutela dei diritti del condominio inteso come collettività, mentre non può agire per questioni diverse da quelle relative alla gestione e conservazione delle parti comuni dell’edificio.


Pertanto, il ricorso per equa riparazione deve essere proposto personalmente dal singolo individuo, in quanto si tratta di un diritto riguardante l’interesse del singolo: in tali situazioni, il patema d’animo conseguente alla pendenza del processo incide unicamente sui condomini, titolari uti singuli del diritto al risarcimento (Cass. 23 ottobre 2009, n. 22558). 

venerdì 14 ottobre 2011

CORTE D'APPELLO DI NAPOLI - EQUA RIPARAZIONE - DECRETO N. 1268/06




LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI

PRIMA SEZ. CIVILE

Riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei magistrati:

dott. Luigi Martone                                                                 Presidente
dott. Giancarlo de donato                                                       Consigliere
dott. Magda Cristiano                                                 Consigliere rel.

Nel procedimento camerale avente ad oggetto “Equa riparazione ex l. 89/01” promosso

DA

********* rappresentata e difesa dall’Avv. Gennaro De Natale del foro di Salerno e con questi elettivamente domiciliata presso la Cancelleria della Corte d’Appello di Napoli

CONTRO

MINISTERO DELLE GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica, rappresentato dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domicilia ope legis in Napoli, via Diaz n. 11;

**************

Sciolta la riserva assunta all’udienza camerale del 6.10.06,
ha pronunciato il seguente

DECRETO

************* con ricorso  depositato il 25.5.06, ha lamentato l’irragionevole durata del procedimento civile nel quale è stata convenuta e che ha avuto ad oggetto la scioglimento della comunione ereditaria di alcuni immobili di cui, per effetto della successione, era comproprietaria per la quota di 1/30. la ricorrente ha dedotto che il  giudizio, nel quale era stata citata a comparire il 28.03.90 e la cui prima udienza si è tenuta l’8.5.91, si è conclusa con sentenza pubblicata il 14.10.04, che ha approvato il progetto redatto dal CTU ed ha disposto il  sorteggio per l’attribuzione delle quote. Ha chiesto, pertanto,, l liquidazione dell’equa riparazione prevista dalla legge 24.3.2001 n. 89 per la violazione del principio di ragionevole durata dei procedimenti giudiziari fissato dall’art. 6, § 1, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ratificata con legge n. 848/55, nella misura di € 11.500,00, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito.

Il Ministero della Giustizia si è costituito ed ha eccepito in rito il difetto di legittimazione attiva della ricorrente, l’improponibilità e la nullità del ricorso, mentre nel merito ha concluso per il rigetto della domanda.

Tanto premesso, questa Corte osserva:

è infondata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva della ricorrente, come si evince dalle sottoscrizioni apposte in calce al mandato conferito per la costituzione in giudizio ed il verbale di estrazione a sorte dei lotti, si chiama *********** ed è stata però indicata negli atti di causa come **********.

Ugualmente infondata l’eccezione di nullità del ricorso, sollevata dal Ministero sul rilievo della mancata indicazione da parte ************* delle attività processuali svolte in giudizio di cui lamenta l’irragionevole durata. Infatti, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole  durata del processo ai sensi della l. 24 marzo 2001 n. 89, al parte istante, con l’allegazione e dimostrazione del protrarsi della controversia oltre il termine mediamente qualificabile come ragionevole, secondo parametri di normalità ed anche alla luce dei criteri al riguardo elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, offre il titolo della propria richiesta indennitaria, ed identifica quindi la “causa petendi” della pretesa azionata, cui si collega il danno (patrimoniale o non patrimoniale) lamentato conseguenza dell’adottata violazione. Ne consegue che la parte istante ha un onere di allegazione e di dimostrazione riguardante la sua posizione nel processo presupposto (la data iniziale di questo, la data della sua eventuale definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato), mentre su di essa non incombe l’onere “di specificar passo  passo le cadenze dei ritardi lamentati e di argomentare analiticamente in proposito”, atteso che al legge demanda al giudice – munito, in coerenza con il modello procedimentale adottato, di poteri di iniziativa, i quali si estrinsecano attraverso l’assunzione di informazioni che, espressamente prevista dall’art.738 cpc, non resta subordinata all’istanza di parte- il compito di accertare in concreto al violazione (cfr. Cass. 18241/104).

Ad ogni buon conto, va rilevato che nel caso di specie al ricorrente ha allegato con chiarezza i fatti che hanno determinato la durata del procedimento.

È , infine, infondata l’eccezione di improponibilità del ricorso svolta dal Ministero sulla base di un’erronea interpretazione dell’art. 4 della legge n. 89/2001, che, nello stabilire la domanda di riparazione può essere proposta durante al pendenza del procedimento… ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva, non fa riferimento, né implicito né, tantomeno, esplicito, all’esaurimento della singola fase o del singolo grado di giudizio. Il dies a quo del predetto termine di decadenza va dunque individuato, con riguardo al processo di cognizione, in quello  di passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (cfr. Cass. n. 19526/04).

Nella specie il ricorso è stato depositato il 25.5.06 e quindi, stante il passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio il 27.11.05, due giorni prima della scadere del termine al citato art. 4.

Nel merito, va preliminarmente, rilevato che, secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, la responsabilità dello Stato per l’eccessiva durata di un procedimento giudiziario può sussistere anche se non sia ravvisabile colpa nella gestione del procedimento stesso da parte del giudice al quale esso è stato affidato; infatti l’obbligo assunto a livello internazionale dalla Repubblica Italiana con la sottoscrizione e la ratifica della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, la cui violazione è oggi sanzionata nell0’ambito del diritto interno dalla previsione dell’equa riparazione disciplinata dalla legge n. 89/2001, impegna lo Stato unitariamente considerato in tutti i suoi poteri ed in tutte le sue articolazioni strutturali, sicché tutti devono, nei limiti delle loro attribuzioni, concorrere all’adempimento di tale obbligo (v. sent. della Corte Europea dei dir. dell’uomo 13.7.83 caso Zimmermann+1/Svizzera; id. 26.10.88, Martins Moreira/Portogallo), con la conseguenza che lo Stato risponde solo per il comportamento negligente degli organi giudiziari,ma, più in generale, per il fatto di non aver provveduto ad organizzare il proprio sistema giudiziario in modo da consentirgli di soddisfare con ragionevole velocità al domanda di giustizia (v. sent. 12.10.92 Boddeart/Belgio; id. 25.6.87, Baggetta/Italia); ciò del resto trova oggi diretto riscontro costituzionale nel testo novellato dell’art. 111 Cost. il quale dispone che la legge ( e cioè l’ordinamento nel suo complesso considerato e non solo l’istituzione giudiziaria) assicura la ragionevole durata del processo.

Ciò premesso, risulta evidente che il tempo trascorso dall’inizio del procedimento presupposto, introdotto con citazione del 26.1.90 e definito con sentenza dell’ottobre 2004, a distanza di oltre 14 anni dall’udienza fissata per la prima comparizione, rinviata d’ufficio di quasi un anno, abbia dato luogo alla violazione del diritto costituzionalmente garantito della --- alla ragionevole durata del processo.

L’art. 2 della legge n. 89/2001 non fissa, per il vero, il periodo di tempo massimo superato il quale la durata del processo diventa irragionevole, ma demanda all’interprete l’onere di determinarlo, desumendolo, ai sensi del secondo comma della norma citata, dalla complessità del caso e dal comportamento del giudice e delle parti, nonché di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o comunque a  contribuire alla sua definizione.

In sostanza, al fine di tale determinazione, si devono valutare, della fattispecie concreta, la natura delle questioni  giuridiche trattate, il numero delle parti in causa, la quantità e la complessità degli scritti difensivi depositati in giudizio e delle prove da espletare, la necessità di rinvii ai fini istruttori.

In giudizio avente ad oggetto lo scioglimento della comunione ereditaria è usualmente, piuttosto complesso, sia per il rilevante numero delle parti in causa, sia per la natura delle questioni che vi si dibattono, sia per el difficoltà connesse all’esatta individuazione  dei cespiti e delle quote ed alla stessa formazione del progetto di divisione. Indubbiamente tali caratteristiche erano proprio anche di quello cui ha partecipato la ---: la causa verteva infatti fra nove parti, i convenuti avevano svolto domanda riconvenzionale di usucapione (sulla quale il Tribunale ha ritenuto di doversi preliminarmente pronunciare con sentenza parziale), gli immobili in comproprietà erano costituiti da vari terreni e da un fabbricato rurale, il progetto redatto da ctu è stato contestato dai convenuti (ivi compresa l’odierna ricorrente) ed è stato pertanto necessario emettere sentenza ai sensi dell’art. 785cpc.

Tenuto conto anche dei parametri che possono ricavarsi dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che tende a ritenere irricevibili i ricorsi concernenti procedimenti che abbiano avuto una durata inferiore a tre anni in primo grado (salvo i casi di procedimenti speciali caratterizzati da particolari esigenze di celerità, in cui la soglia viene abbassata)) e considerati i tempi tecnici necessari per i vari adempimenti processuali, si può giungere allora alla conclusione che sarebbe stata ragionevole una durata di cinque anno per l’intero corso del giudizio di primo grado, che si è invece protratto per quattordici anni e sette mesi.

Dagli atti del processo, integralmente allegati in fotocopia, si evince, tuttavia che parte del ritardo è addebitabile al comportamento processuale della stessa ricorrente: ripetute astensioni dall’attività di udienza del difensore della --- hanno reso necessari rinvii per complessivi diciotto mesi, altre richieste di inutili rinvii (per complessivi 27 mesi) sono state avanzate dallo stesso difensore l’8.5.91, il 4.11.93, il 18.1.96, il 9.3.01, il 21.3.02, il 17.9.03; questi, inoltre, ha compiutamente articolato la propria prova orale solo all’udienza dell’11.9.03 ed ha prodotto nuovi documenti, che hanno ulteriormente ritardato al decisione ed hanno reso necessaria la definizione del giudizio con sentenza, all’udienza del 30.10.03.

Ora, se è pur vero che il giudice non era obbligato a concedere i richiesti rinvii e che la loro lunghezza è stata talvolta eccessiva, appare giustificato alla Corte porre a carico della --- quantomeno 30 mesi di ritardo (i 18 dovuti all’astensione più un ulteriore anno in relazione alle immotivate richieste di differimento).

Va infine osservato che, per quanto la CEDU, una volta superato il limite della ragionevolezza, consideri ai fini della liquidazione dell’indennizzo l’intera durata del procedimento, tanto non è consentito  al giudice italiano, posto che l’art. 2, c.3, lett. a), della legge n. 89/2001, espressamente sancisce che, ai fini della liquidazione dell’indennizzo riconosciuto dal nostro diritto interno per l’eccessiva durata dei processi, “rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole”. Pertanto, finché il legislatore non riterrà di modificare tale dettato normativo (che non contrasta nè con le norme di dir. internazionale generalmente riconosciute (art. 10 cost) nè con i principi fondamentali dell’ordinamento comunitario(art, 11 Cost.) nè infine, con la Convenzione , ma solo con un orientamento ermeneutico della Corte di Strasburgo, che non può prevalere su una espressa disposizione di legge, i giudici italiani non potranno che attenervisi.

Il periodo eccedente, che va considerato ai fini dell’indennizzo dovuto alla – per la violazione da parte dello Stato del suo diritto ad ottenere una risposta giudiziaria in tempi ragionevoli, risulta dunque  di 7 anni.

La ricorrente ha richiesto la liquidazione del solo danno patrimoniale (art. 2, c.1 della L. n. 89/2001), che secondo i parametri di valutazione della CEDU, cui il giudice nazionale è tenuto ad adeguarsi, costituisce conseguenza ordinaria del prolungarsi del giudizio ordine i termini di ragionevole durata, sicchè può essere escluso solo in quei casi  in cui specifici elementi di fatto dimostrino che al durata del procedimento corrisponde all’interesse del ricorrente (Cass. ss.uu., 26.1.2004 n. 1338); esso non può essere oggetto che di valutazione equitativa, nell’operare la quale occorre attenersi, in linea di massima, al metro di valutazione adottato dalla CEDU in casi analoghi, dal quale ci si può discostare solo in misura ragionevole (Cass.ss. uu. 26.1.2004 n. 13340).

Tenuto conto dell’oggetto del contendere, che non ha inciso in maniera diretta sul normale svolgimento della vita della ricorrente, considerato altresì che dal suo complessivo atteggiamento processuale non è emersa alcuna reale volontà di pervenire  nei tempi rapidi alla definizione del processo, ritenuto pertanto che la sofferenza patita dalla ********* per il protrarsi della controversia sia stata di lieve entità, appare giustificato discostarsi in parte dagli usuali parametri di liquidazione cui mediamente si attiene la CEDU e riconoscere alla ricorrente un indennizzo di € 5.600 al valore attuale della moneta, in ragione di € 800 per ogni anno di eccedenza della durata del procedimento rispetto a quella ragionevole, che va maggiorata degli interessi al tasso legale dalla domanda al saldo (Cass. 27.1.04 n. 1405; id. 3.04.03 n. 5110).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in applicazione dei punti 50 e75 della tariffa forense, tenendo conto dell’importo liquidato, in favore dell’avv. Gennaro De Natale, che ha dichiarato di averle anticipate e di non aver riscosso gli onorari..

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Napoli:

condanna il Ministero della Giustizia a pagare a ********** , a titolo di equa riparazione per l’eccessiva durata del processo di cui in premessa, la somma di € 5. 600 oltre gli interessi legali dal 25.5.06 al saldo effettivo;

condanna il Ministero della Giustizia a pagare all’avv. Gennaro De Natale le spese del giudizio, che liquida in €, di cui € 100 per spese, €101 per diritti ed € 205 per onorari, oltre accessori dovuti per legge.

Napoli 6.10.06