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venerdì 3 febbraio 2012

CORTE D'APPELLO DI NAPOLI - EQUA RIPARAZIONE - DECRETO N. 2742/2008



LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI

IV SEZIONE CIVILE

Riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati:
Dott. Gaetano Annunziata                                           Presidente
Dott. Marzia Consiglio                                    Consigliere rel.
Dott. Maria Sena                                                        Consigliere
ha pronunziato il seguente

DECRETO

nel procedimento iscritto al n. 2742 del Ruolo Gen. V.G. delle procedure in camera di consiglio dell’anno 2008, avente ad oggetto: ricorso per equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89, riservato in decisione all’udienza del 23.12.2008, vertente

TRA

************** rappresentato e difeso dall’avv. Gennaro De Natale e dall’avv. ******* presso quest’ultimo elettivamente domiciliato in Salerno alla via ************, ricorrente

E

Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore domiciliato ope legis in Napoli alla via Armando Diaz n. 11 presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato che lo rappresenta e difende, resistente.

FATTO

Con ricorso del 30.4.2008 ************ ha chiesto di essere indennizzato ai sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89 per violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in relazione al giudizio civile incardinato dinanzi al Tribunale di Salerno con citazione (in riassunzione) dell’ottobre 1999 e definito con sentenza del 2007.

L’Avvocatura dello Stato si è costituita per il Ministero della Giustizia, eccependo, in via preliminare, nel merito la prescrizione parziale delle pretese della controparte, rimettendosi per il resto alla giustizia ed insistendo per la compensazione delle spese di lite.

All’udienza camerale del 23.12.2008 questa Corte si è riservata per la decisione.

DIRITTO

Il ricorso proposto da ************* merita parziale accoglimento.
In particolare si rileva che l’istante ha chiesto di essere indennizzato ai sensi della L. 89/2001 per la violazione del termine ragionevole del procedimento in relazione al giudizio da lui promosso nei confronti di *************** dinanzi al Tribunale di Salerno con citazione notificata il ***** (udienza di prima comparizione ********) e definito con sentenza depositata nell’agosto 2007.

L’avvocatura dello Stato ha eccepito, preliminarmente, la prescrizione parziale di tale pretesa, maturata anteriormente al quinquennio o in subordine al decennio, rispetto all’atto interruttivo rappresentato dal ricorso in esame.

L’eccezione non è fondata.

L’art. 4 della Legge Pinto prevede infatti la sola ipotesi della decadenza dal diritto in caso di definizione del giudizio presupposto con sentenza passata in giudicato e non anche un termine prescrizionale, termine, a parere di questa Corte, incompatibile sia con la natura indennitaria della pretesa, sia con la necessaria valutazione del rispetto di un termine ragionevole di durata collegato a vari fattori e non ad un preciso momento di esordio della prescrizione (V. decreto di questa stessa sezione in data 6 ottobre 2008 nel procedimento introdotto da ********* contro il Ministero della Giustizia).

In ogni caso si rileva che l’azione esercitata per ottenere l’equo indennizzo ha natura indennitaria e non risarcitoria (V. Cass. 26.7.2002 n. 11046) e che l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione di cui alla legge Pinto ha natura di obbligazione ex lege e non ex delicto con la conseguenza che il termine di prescrizione sarebbe al più decennale e giammai quinquennale.

Ne consegue che nella fattispecie, essendo stato introdotto il giudizio presupposto con citazione del giugno 1999 e quello per l’equa riparazione con ricorso dell’aprile 2008, non sarebbe comunque maturato, in fatto, il termine di prescrizione.

Ciò posto, si ricorda che l’obbligo indennitaria dello Stato per l’eccessiva durata di un procedimento giudiziario sussiste – pur a prescindere dalla colpa nella gestione del procedimento stesso da parte dell’autorità adita – in conseguenza dell’obbligo assunto a livello internazionale con la sottoscrizione e ratifica della Convenzione, sicché lo Stato risponde non solo per il comportamento negligente degli organi giudiziari, ma più in generale per non aver provveduto ad organizzare il proprio sistema giudiziario in modo da soddisfare con ragionevole velocità la domanda di giustizia, e cioè anche solo per non aver apprestato procedura snelle e strutture adeguate al carico di lavoro. Quest’ultimo, pertanto, quand’anche eccessivo, come notoriamente gravante sulla maggior parte degli uffici giudiziari italiani, può valere a giustificare sul piano soggettivo il comportamento del singolo organo giudiziario, ma non rileva ai fini della valutazione richiesta dalla legge n. 89/2001. Questa fonda difatti, come già detto un’obbligazione ex lege e non ex delicto, che sorge per il fatto oggettivo dell’eccessiva durata del processo e non già per il comportamento colposo o doloso degli organi giudiziari (Cfr. Cass. 14885/2002).

Dovendosi dunque tener conto del tempo complessivo dell’attesa della risposta sulla domanda di giustizia ai fini del superamento dei tempi di ragionevolezza, si osserva che la durata del giudizio, al quale si riferisce l’istanza in esame, risulta pari a circa otto anni ed eccede dunque il limite di ragionevolezza che questa Corte ritiene congruo per un grado di giudizio dinanzi al Tribunale, riguardo a cause, quale quella in esame, di ordinaria difficoltà e non bisognevole di istruttoria particolarmente complessa. In particolare, visti anche i parametri che possono ricavarsi dalla giurisprudenza della CEDU, si ritiene che per un simile giudizio dinanzi all’A.G.O. sia da considerare ragionevole la durata di circa quattro anni, in quanto fisiologica e socialmente accettata quale tempo tecnico indispensabile per la definizione della lite in primo grado.

Va considerato quindi – ai fini dell’indennizzo dovuto per la violazione da parte dello Stato del diritto del ricorrente ad ottenere una risposta giudiziaria in tempi ragionevoli – il periodo che appare eccedente, e cioè quello di anni quattro.

In proposito giova osservare che, per quanto la CEDU, una volta superato il limite della ragionevolezza, consideri ai fini della liquidazione dell’indennizzo l’intera durata del procedimento, tanto non è consentito al giudice italiano, posto che l’art. 2, c. 3°, lett. a), della legge n. 89/2001, espressamente sancisce che, ai fini della liquidazione dell’indennizzo riconosciuto dal nostro diritto interno per l’eccessiva durata dei processi, rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole, onde, finché il legislatore non riterrà di modificare tale dettato normativo i giudici italiani dovranno attenervisi.

Va quindi riconosciuto, quale danno non patrimoniale, il danno morale (art. 2, c. 1°, della legge n. 89/2001), che – secondo i parametri di valutazione della CEDU, cui il giudice nazionale è tenuto ad adeguarsi – costituisce conseguenza ordinaria del prolungarsi del giudizio oltre i termini di ragionevole durata, sicché può essere escluso solo in quei casi in cui specifici elementi di fatto dimostrino che la durata del procedimento corrisponde all’interesse del ricorrente (Cass. SS.UU. n. 1338/2004).

Lo stesso non può che essere liquidato in via equitativa, attenendosi, in linea di massima, al metro di valutazione adottato dalla CEDU in casi analoghi, dal quale ci si può discostare solo in misura ragionevole (Cass. SS. UU. n. 1340/2004 e Cass. 7690/06).

Va però considerato, ai fini della quantificazione del dovuto, che un lieve addebito può essere mosso anche alla parte istante che, con il suo comportamento processuale, ha concorso ad aggravare la durata del giudizio (v. il rinvio ex art. 181 cpc, la tardiva articolazione delle prove, i rinvii richiesti dal suo procuratore o dovuti all’assenza dello stesso, come all’udienza di precisazione delle conclusioni del 4.5.06, o ancora all’astensione degli avvocati).

Tenuto conto dei parametri di liquidazione cui mediamente si attiene la CEDU e delle peculiarità del caso concreto, in particolare la parità della materia del contendere, appare equo calcolare un importo pari ad €. 1.200,00 per ogni anno di ritardo, ,ma ridurre lo stesso di un terzo in conseguenza del concorso della parte istante sopra evidenziato, e liquidare quindi un indennizzo di complessivi €. 3.200,00 (€ 800,00 per quattro anni) all’attualità della presente decisione, sicché nulla viene liquidato a titolo di rivalutazione monetaria e interessi pregressi, mentre sono dovuti gli interessi legali dalla presente pronuncia al saldo.

Il limitato accoglimento dell’istanza e la particolare materia della controversia inducono a compensare le spese della presente procedura in ragione di un terzo.

I residui due terzi, liquidati come in dispositivo – gli onorari nella misura ridotta di cui al punto 50 lett. B) della Tariffa forense, trattandosi di procedura in camera di consiglio – vanno posti a carico dell’amministrazione convenuta per il principio della soccombenza. La disciplina della responsabilità delle parti per le spese processuali e della condanna alle spese in relazione al criterio della soccombenza – come ripetutamente affermato dalla S.C. di Cassazione – deve trovare difatti applicazione analogica anche nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 89/2001, trattandosi di un procedimento contenzioso che, essendo diretto a risolvere una controversia su contrapposte situazioni di diritto soggettivo, si svolge in pieno contraddittorio tra le parti e si chiude con un provvedimento che, pur con la forma del decreto motivato, ha natura sostanziale di sentenza … (Cfr. Cass. n. 12012/2004  e, nello stesso senso, Cass. n. 2140/2003; n.  1078/2003).

P.Q.M.

La Corte, in ordine al ricorso proposto da *********** in data  30.4.2008 così provvede, in parziale accoglimento della domanda:

a) condanna il Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore al pagamento in favore del predetto ricorrente della somma di € 3.200,00 oltre interessi legali a far data dalla presente decisione al saldo;

b) condanna altresì il Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore al pagamento in favore della parte ricorrente dei due terzi delle spese processuali che liquida (già in tale percentuale ridotta) in …………….;

c) dichiara compensate tra le parti le spese quanto al residuo terzo;

d) manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 5 legge n. 89/2001.

Così deciso in Napoli il 30 dicembre 2008.

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