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lunedì 13 aprile 2015

Anziano malato dimenticato al pronto soccorso.



Tempo fa, mi sono interessato ad una situazione di malasanità un po’ particolare. 

Non si è trattato, per fortuna,  dell’ennesimo  episodio  del malato che perde la vita a causa del cattivo funzionamento del sistema sanitario, ma di un caso, altrettanto importante,  di dignità calpestata.

Un signore anziano, che chiameremo Mario, è affetto da bronco pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO IV grado severo) e da cardiopatia ischemica cronica.

Queste patologie sono abbastanza serie; diciamo che, a seconda dei casi, comportano una notevole riduzione del funzionamento dell’apparato cardio-respiratorio.

Una mattina, a causa di un malore provocato da uno scompenso cardiaco, Mario  è costretto a chiamare l’ambulanza.

Il medico del 118, resosi conto delle precarie condizioni di salute del malato, decide per un ricovero urgente in ospedale.

Alle  ore 10,00 Mario entra nel reparto di pronto soccorso e viene sistemato su una lettiga in attesa del suo turno, sotto un condizionatore acceso dal quale fuoriesce aria fredda.

E’ anche febbricitante. Non può muoversi, perché è allettato da diversi anni.

Dopo un po’ di attesa, chiede al personale dell’ospedale la cortesia di cambiargli il pannolone che, nel frattempo,  si è sporcato, ma viene completamente ignorato.

I familiari, che aspettano in sala di attesa, si offrono di cambiare loro stessi il pannolone, ma dagli infermieri ottengono solo risposte evasive, frettolose e sgarbate.

Nel corso della giornata, i figli spiegano più volte al personale medico e paramedico  che il loro papà non è autonomo, utilizza pannoloni e ha bisogno di essere cambiato,  anche per evitare di aggravare ulteriormente la sofferenza delle piaghe da decubito.

Inoltre, chiedono agli infermieri di spostarlo dal getto di aria fredda del condizionatore.

Ma non succede niente. Rimane sempre lì, solo. Con il pannolone sporco di urina e feci.

Mario è malato nel corpo, ma è mentalmente lucido. Il pannolone sporco gli dà un fastidio enorme. Ma lo infastidiscono ancora di più gli sguardi delle persone che lo fissano con aria un po’ schifata a causa del cattivo odore che proviene dal suo lettino.

E si sente sempre più imbarazzato ed umiliato quando a guardarlo in quel modo sono alcuni suoi conoscenti intrufolatisi nel reparto per fare compagnia agli altri malati ricoverati.

Sì, proprio così! I suoi figli non li hanno fatti entrare, come è giusto che sia, ma quel giorno, nel reparto di pronto soccorso, ci sono i familiari di altri malati. Nemmeno loro dovrebbero trovarsi lì!

Il calvario di Mario termina alle ore 17,00, quando viene trasferito nel reparto di pneumologia  ancora nelle condizioni vergognose in cui si trovava 7 ore prima.  

A quel punto, può essere finalmente cambiato dai parenti. Non dagli infermieri.

Qualche mese dopo, il nostro amico, ritenendo di aver subito un trattamento degradante e lesivo della sua dignità sia di uomo che di malato, mi chiede di citare in giudizio l’ospedale, per ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti.

Non si può negare che, a causa della disorganizzazione, della carenza di personale e di un po’  mancanza di umanità e di buona volontà, Mario ha effettivamente subìto una immobilità forzata in condizioni decisamente  disumane e poco igieniche per ben 7 ore!!

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), pronunciandosi in materia di dignità, ha sostenuto che deve considerarsi  degradante quel trattamento che può causare alla persona una umiliazione o un avvilimento di una certa gravità.  

Infatti, il malato ha il diritto di  ricevere le cure e l’assistenza che si rendono necessarie in base al proprio stato di salute ed alla propria situazione personale, e tale diritto non può essere limitato o escluso da ragioni organizzative della struttura ospedaliera (poco personale, mancanza di spazio, ecc.).

L’Azienda Ospedaliera è responsabile delle azioni (e delle omissioni) compiute dai suoi dipendenti, e risponde direttamente della loro negligenza ed imperizia per le prestazioni effettuate (o non effettuate) nei confronti dei pazienti.

Quindi, il personale di un ospedale non può rifiutarsi (o ritardare) di accudire un malato ricoverato con la scusa che c’è poco personale, troppo lavoro, o altre amenità del genere.

In una situazione simile, la Corte di Cassazione (Sent. n. 39486 del 27/09/2006), giudicando il caso di una infermiera che aveva ritardato il cambio del pannolone ad un malato, ha affermato che l’infermiere che rifiuta di effettuare le operazioni di pulizia di un degente, che per ragioni di igiene e sanità devono essere compiute senza ritardo,  risponde del reato di omissione di atti d’ufficio (art. 328 cp).

Sempre secondo la Cassazione, in questi casi l’infermiere non può nemmeno addurre come scusante la vergogna dovuta alla differenza di sesso.

Pertanto, la struttura ospedaliera risponde anche dei danni causati dalle sue gravi carenze organizzative.

Questi principi, ormai pacifici, sono stati confermati più volte da vari Tribunali italiani.

Nel corso del giudizio abbiamo richiesto anche l’interrogatorio formale del rappresentante legale dell’ospedale, ma questi non si è presentato, per cui il giudice, anche da tale comportamento, ha tratto elementi di valutazione per la sua decisione.

L’azienda ospedaliera (forse per la vergogna) non ha neanche provato a difendersi.

Ovvero, per la precisione, si è costituita in giudizio, ma  i suoi legali non si sono mai presentati al processo.
Il Giudice di Pace, valutate le prove, ha accolto la nostra domanda, condannando l’azienda ospedaliera al risarcimento del danno.

Il giudice ha ritenuto che l’anziano paziente  sia stato trattato in modo indegno e contrario ai principi  etici e morali, con grave violazione del diritto alla salute in senso ampio e del diritto alla dignità umana.

Alla luce di quello che si sente dire, sempre più spesso, sul “Pronto Soccorso”, ultimamente ribattezzato “Lento Soccorso”, sono sempre più convinto che Mario abbia fatto bene a citare l’ospedale.

Non per i soldi. La sua vita non è cambiata con mille euro in più.

Ma per ricordare ad alcuni boriosi professoroni in camice bianco che la dignità umana va sempre rispettata, a prescindere dall’età, dallo stato di salute e dalla posizione sociale del malato.

Siamo in Italia, e certi episodi non dovrebbero verificarsi. Tuttavia, quando succedono, fanno arrabbiare.

Soprattutto perché gettano discredito anche sui medici e paramedici, e sono tanti,  che svolgono con diligenza, professionalità ed umanità il proprio lavoro.

Ritengo, pertanto, che siano sicuramente da condannare quegli episodi in cui i familiari dei malati, presi dall’esasperazione, minacciano, ingiuriano o, peggio, picchiano medici ed infermieri giudicati poco attenti, garbati o umani, pensando di ottenere, in tal modo, più rispetto e considerazione.

Credo, tuttavia, che siano altrettanto riprovevoli quei comportamenti arroganti e boriosi di una parte del ceto medico, che appaiono ancora più odiosi e vili perché compiuti con il camice bianco, in strutture che dovrebbero essere al servizio esclusivo del malato, e non centri di potere clientelare, in cui ci si riveste di forza ed autorità solo con i più deboli e gli inermi.